CONFERENZA DI DURBAN E L’ANNO INTERNAZIONALE DELLE FORESTE

12 dicembre 2011

 

Il vertice di Durban (diciassettesima Conferenza dell’ONU sul clima, COP 17) è terminato dopo dodici giorni di dibattito e una discussione finale che si è prolungata di 36 ore oltre il previsto. Fino all’ultimo ha rischiato di naufragare per l'opposizione dei paesi più inquinanti, come Stati Uniti, Brasile, e soprattutto Cina e India, contrari a un impegno legalmente vincolante. Ma, alla fine, è stato raggiunto un compromesso quando un diplomatico brasiliano ha proposto la formula di un accordo con "forza legale". Il blocco guidato dall'Europa, sostenuta dalle piccole isole e dalla maggior parte dei paesi africani e dell’America Latina, è riuscito a far approvare questo accordo sul clima che dovrà entrare in vigore entro il 2020.

 

Così, dopo le conferenze sul clima di Copenhagen nel 2009 e di Cancún nel 2010, i rappresentanti di 193 paesi si sono riuniti il 28 novembre 2011 in Sudafrica per tentare ancora una volta di adottare le misure necessarie per limitare a un massimo di due gradi il riscaldamento del globo dovuto ai cambiamenti climatici. Era l’ultima speranza per cercare di superare la prima fase di Kyoto e invertire la rotta del riscaldamento globale prima che, secondo i climatologi, l'aumento di temperatura nel corso del secolo diventi devastante. L'obiettivo di Kyoto1 nel 1997 era moderatamente ambizioso ma limitato ai soli paesi di prima industrializzazione: ridurre le emissioni di gas clima alteranti del 5,2 % entro il 2012.

Kyoto2 invece riguarda sostanzialmente l'Europa e pochi altri paesi industrializzati, dato che Giappone, Russia e Canada da tempo hanno annunciato il loro no. La Conferenza ha inoltre approvato un Fondo Verde per aiutare i paesi più poveri a scegliere la strada dello sviluppo sostenibile e ad affrontare le conseguenze dei mutamenti climatici: 100 miliardi di dollari annui fino al 2020. In conclusione, il nuovo protocollo dovrebbe fare da ponte verso un accordo planetario globale. Ora il problema rimane a carico delle singole nazioni, che dovranno far approvare questi strumenti in sede parlamentare entro il 2015.

 

L’allarme è giustificato dalle ultime rilevazioni, che parlano di un aumento delle emissioni di circa il 40% negli ultimi venti anni e, in previsione, un aumento della temperatura di 4°C nei prossimi decenni. Ciò provocherebbe un’accelerazione sensibile dei processi di desertificazione e dello scioglimento dei ghiacciai, innalzamento dei mari e rischio scomparsa per centinaia di isole e ampie zone costiere, aumento della frequenza e della violenza dei fenomeni climatici estremi, intensificarsi dei flussi migratori per uomini e animali, cambiamenti per la vegetazione e l’agricoltura, pericolo per la biodiversità. 

 

Tutelare il patrimonio forestale dell’Africa è un tema sul quale l’ONU deve intervenire. Infatti, la deforestazione colpisce intensamente anche le foreste naturali dell’Africa, come quelle del Gabon, della Repubblica Democratica del Congo e della Nigeria. La distruzione di queste foreste, oltre all’aumento dei gas serra, altera drammaticamente l’ecosistema. Le emissioni serra sono cresciute del 38 per cento tra il 1990 e il 2009. Il 2010 poi è stato un anno record: in tutto 33,5 miliardi di tonnellate di CO2 riversate in atmosfera, con un aumento di quasi il 6% rispetto al 2009. Dati che rimandano alla responsabilità dei governi. In dieci anni, 710 mila persone sono state sterminate dalle 14 mila catastrofi naturali che hanno flagellato il mondo. Non tutte sono imputabili ai cambiamenti climatici, ma almeno 300 mila morti (il doppio del decennio precedente) sarebbero indirettamente provocate dal riscaldamento generato dalle attività umane. Il problema riguarda anche l’America Latina. Già nel 2010 in Bolivia, durante la Conferenza Mondiale dei Popoli sui Cambiamenti Climatici e i Diritti della Madre Terra, si è parlato di riconversione industriale, agricoltura organica, efficienza e transizione energetica verso un futuro post-carbone, difesa dei beni comuni, sostegno alle economie locali.

 

Per non cambiare il clima occorre cambiare il modello di sviluppo e investire nella green-economy.

 

M.C.G.

 

foto Xinhua-ADN Kronos)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Foresta in Eritrea (foto D.G.)

 

Foresta in Turchia

(foto M.C.G.)

Foresta equatoriale (fonte mongabay.com)

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