Moringa oleifera, albero del rafano, Drumstick tree (Brassicales)

12 luglio 2002 - 12 luglio 2012: TRISTE ANNIVERSARIO

Per ricordare Attilio Gaudio, Argo dà la parola ai suoi amici e colleghi. La prima testimonianza è di Giulio Calegari, paleo-etnologo del Centro Studi Archeologia Africana (Saggi occasionali, Centro Studi Archeologia Africana, Milano 2002-8, stampato il 30 ottobre 2003).

2011/12/15 - Nueva digitalización: Épiques et douces Canaries . La fondazione Orotava di Tenerife ha recentemente realizzato la digitalizzazione di un libro di Gaudio del 1958, pubblicandola sul suo sito (( www.fundacionorotava.org - www.gobiernodecanarias.org/educacion/3/Usrn/fundoro).

Libro de Attilio Gaudio de 1958 sobre la procedencia y las costumbres de los pueblos que habitaban en las islas antes de la conquista española. Asegura Gaudio en el prefacio de su libro que el recorrido por Canarias le permitió conocer vestigios todavía visibles de aquella civilización ya desaparecida. Vivamente interesado por el origen y los modos de vida de los aborígenes que poblaron el archipiélago canario, Attilio Gaudio se decidió, a mediados de siglo XX, a emprender un viaje por cada una de estas islas. Lo hizo acompañado por la señora Esther Peter, a quien Gaudio inmortalizó en una de las más de treinta fotografías que se publicaron en Épiques et douces canaries.

Giugno 2010 - L’Harmattan di Parigi ha pubblicato il libro di antropologia al quale stava lavorando Attilio Gaudio da alcuni anni, e ancora nel luglio 2002. Questa nuova edizione in Francia segue quella del 2004, dal titolo L’odyssée de l’Homme en marche – Voyage anthropologique, che era stata pubblicata dalla FUP-Firenze University Press, nel rispetto degli accordi presi dall'Autore stesso con il dipartimento di antropologia l'Università di Firenze. Il lavoro è stato riveduto e aggiornato da Mila e Velia Gaudio, e dato alle stampe con un nuovo titolo:

CONNAISSANCES ACTUELLES ET METHODES DE RECHERCHE EN ANTHROPOLOGIE - Un voyage sans fin

Come spiegare il legame profondo tra Attilio Gaudio e il deserto? E come lo ha definito?

Metafora della vita, il deserto. Infinito rincorrersi di sabbia, polvere, ciottoli e pietre, oceano di barcane, arcipelago di nude colline, è il regno del vento. Sembra immobile, ma è in continua trasformazione. Metafora della morte, il deserto: il deserto è silenzio.

Bibliografia di Attilio Gaudio

News

  • Niger, rapimento di un missionario

    A due mesi dal sequestro di padre Maccalli non c'è nessuna notizia certa su dove si trova, se è vivo e sui passi intrapresi per liberarlo. Un altro appello è stato lanciato dalla SMA (Società delle Missioni Africane, Genova, www.missioniafricane.it) a tutti coloro che hanno a cuore l'opera dei missionari>:

        "Un nostro missionario, padre Pier Luigi Maccalli, (originario della diocesi di Crema, già missionario in Costa d'Avorio) da più di un mese è nelle mani di ignoti rapitori, i quali non si sono fatti ancora vivi. Il rapimento è avvenuto nella sua missione di Bomoanga, nel sud-ovest del Niger, a pochi chilometri dalla frontiera con il Burkina Faso. Padre Gigi, come qui tutti lo chiamano affettuosamente, in undici anni ha fatto molto per la popolazione: scavo di pozzi, costruzione di scuole e ambulatori medici, formazione per i giovani contadini, istruzione degli adulti" mettendo insieme, come riferisce l'Agenzia Fides, "evangelizzazione e promozione umana; attento all'inculturazione, ha organizzato momenti di iniziazione in relazione con la circoncisione e l'escissione femminile. Può essere uno dei moventi per il rapimento, giunto una settimana dopo il suo rientro da un tempo di riposo in Italia». Infatti, attento alle problematiche legate alle culture locali, aveva organizzato incontri per affrontare temi sociali e contrastare pratiche legate alle tradizioni, come le mutilazioni genitali.

    La Missione cattolica dei Padri SMA si trova in zona Gourmancé (Sud-Ovest) alla frontiera con il Burkina Faso, nella prefettura di Makalondi, e a circa 125 chilometri dalla capitale Niamey. La Missione è presente dagli anni '90, e i villaggi visitati dai missionari sono più di venti, di cui dodici con piccole comunità cristiane, distanti dalla missione anche oltre 60 chilometri. "Da qualche mese la zona si trova in stato di urgenza - spiega padre Mauro Armanino, missionario SMA a Niamey - a causa della presenza di terroristi provenienti da Mali e Burkina Faso».  Testimoni riferiscono che uomini armati in moto hanno fatto irruzione nella missione, "lo hanno preso e portato via; il confratello indiano che vive con lui è riuscito a mettersi in salvo". E' plausibile che presunti jihadisti siano attivi nella zona, dove la povertà è strutturale, i problemi di salute e igiene enormi, l’analfabetismo diffuso e la carenza di acqua e di strutture scolastiche ingenti. La mancanza di strade e di altre vie di comunicazione, anche telefoniche, rendono la zona isolata e dimenticata.

    Dopo il rapimento – riferiscono dalla Curia della SMA – padre Maccalli è stato probabilmente portato al di là della frontiera. Nella confinante regione del Burkina Faso c’è, infatti, una vasta foresta in cui hanno le proprie basi i miliziani jihadisti. Attualmente la diocesi di Niamey ha inviato un gruppo di sacerdoti nel villaggio di padre Maccalli per verificare i fatti e per prendere contatti con la comunità locale. Un altro religioso italiano di una parrocchia vicina è stato fatto allontanare e ora è al sicuro a Niamey”.

    Poema per p. Gigi,
    di p. Paco Bautista, missionario SMA spagnolo

    Algún día, en alguna parte,
    todo será de otra manera.
    Mientras tanto
    bregamos con nuestras heridas,
    convivimos los miedos,
    los fracasos,
    gestionamos nuestros fantasmas
    en estos tiempos de crisis…

    Pero también
    sacamos lo mejor de nosotros
    porque creemos,
    contra toda evidencia,
    en la bondad innata
    de lo más sagrado
    que cada uno lleva dentro.

    Y apostamos por un mundo
    sin fronteras ni exclusiones,
    donde la verdad
    es el punto de salida
    para hacer nuevas todas las cosas.

    Porque algún día,
    en alguna parte,
    todo será de otra manera.

    Fraterno siempre

     

     
  • Dromedari in carovana: ottomila anni?

    Sono stati scoperti, per caso e recentemente, nel nord dell'Arabia Saudita, provincia di Jawf, tre promontori di arenaria rosa che ospitano dei bassorilievi in forma di animali in grandezza naturale. Bellissimi. Sono stati studiati per la prima volta nel 2016 e 2017 dagli archeologi sauditi e dall'équipe di Guillaume Charloux, del laboratorio Orient et Méditerranée, che ne hanno inizialmente  attribuito l'origine ai Nabatei (la cui cultura è geograficamente molto vicina). Non alle antiche tribù locali, anche se non è molto lontana l'oasi di Dùmat al-Jandakl, antico centro delle vie carovaniere, ormai in rovina. In effetti lo stile di questi dromedari si discosta "dalla tradizione della rappresentazione regionale, più schematica e in due dimensioni", ma si avvicina esteticamente alla famosa carovana scolpita nella città antica di Petra, in Giordania, dove i camelidi in fila sbucano di fronte al monumento funerario di Al-Khazneh.


    Quindi la prima datazione colloca l'origine del Camel Site nell'Antichità, tra il primo secolo a.C. e il primo secolo d.C. Tuttavia Maria Gaugnin, esperta di arte parietale dell'università di Oxford, che ha studiato il sito nel 2018 insieme ad archeologi del Max Planck Institute, ritiene  che questi animali (una dozzina di  camelidi e due animali che potrebbero essere asini, muli, cavalli) potrebbero essere molto più antichi. Forse le più antiche incisioni rupestri al mondo!

    Studiando il materiale litico presente sul sito, dove sono assenti tracce o vestigia più recenti, l'archeologa pensa che le sculture siano state eseguite 6500 anni prima di Cristo (quindi 6400 anni prima dei Nabatei), nel Neolitico. Anche l'analisi chimica delle incisioni e un esame dei segni degli strumenti litici trovati nel sito conferma la datazione: i dromedari non sono stati scolpiti con utensili in metallo, ma in pietra! Non sono stati rinvenuti infatti martelli, picconi o qualsiasi altra prova di insediamenti umani nella zona.

    Questa roccia clastica sedimentaria (dovuta alla cementazione, in periodi e strati diversi, di sabbie silicee, caolino e minerali contenenti  calcio, sodio, potassio e ossidi di ferro, da cui il colore rosa-rosso) è fragile. Infatti queste sculture oggi appaiono su uno strato di pietra della falesia profondamente eroso, e purtroppo molti pannelli di roccia sono caduti. Alcune figure sono incomplete, altre in parte distrutte. Possiamo solo immaginare come poteva essere il sito originale, che comprendeva camelidi ed equidi in grandezza naturale, spesso molto vicini, e scolpiti su due o tre strati uno sopra l'altro.

    La vicinanza alle rotte carovaniere fa pensare ad un luogo di sosta nel deserto, o di culto per venerare il sacro camelide "dono del cielo". Alcuni dei dromedari raffigurati nei rilievi hanno colli particolarmente sporgenti e ventri rotondi, caratteristiche tipiche degli animali durante la stagione degli amori. Era forse un sito legato alla fertilità o a un periodo specifico dell'anno, quando la comunità araba, composta da gruppi nomadi e dispersa in vari accampamenti nel vasto deserto, si riuniva a date fisse per celebrare nozze, scambiare informazioni o  merce, celebrare riti. Ma si ipotizza che possa essere anche stato, in tempi più recenti, un "segno di confine" fra proprietà.

    Così i Sauditi possono essere orgogliosi di un sito millenario, più antico delle piramidi egizie, e sintesi della cultura beduina che sarà, millenni più tardi, culla dell'Islam. Il Camel Site andrà a completare l'esposizione di bellezze antiche e sviluppo tecnologico prevista dal piano di sviluppo "Vision 2030", voluto dal principe ereditario Mohammed bin Salman per affrancare il regno dal petrolio. Asia News conferma che il Fondo Saudita di Sviluppo del Turismo (Tdf) ha appena firmato un accordo con il tour operator Seera Group. Resort di lusso da 200 appartamenti, ristoranti, negozi: il regno wahhabita non sarà più soltanto meta di pellegrinaggio religioso per i fedeli islamici, ma di vacanze miliardarie con la costruzione di una città futuristica sul mar Rosso, con riserva naturale, barriere coralline e siti archeologici. Si pensa anche al turismo nelle grotte calcaree, con un solo motto "non lasciare tracce, solo fotografie"

     

  • A Milano riapre il Museo Popoli e Culture

     Domenica 15 settembre è stato inaugurato dall'arcivescovo di Milano Monsignor Delpini il nuovo Centro Pime (Pontificio Istituto Missioni Estere, Missionari dal 1850)* di via Monte Rosa, con nuovi spazi (teatro, biblioteca , caffetteria, negozio equosolidale) e il rinnovato allestimento del Museo Popoli e Culture.

    Nuova sede, interattivo e multimediale, organizzato secondo criteri tematici e/o cronologici, questo museo conserva una collezione permanente di arte extraeuropea, con circa duecento oggetti provenienti da Asia, Africa, America Latina e Oceania, raccolti dai padri missionari. Come afferma padre Mario Ghezzi, per vent'anni missionario in Cambogia e attuale direttore del Pime, a Milano servono luoghi che parlino del mondo, attraverso gli occhi e gli oggetti dei missionari. Per l'arcivescovo Delpini questo museo è un luogo di incrocio fra orizzonti universali e culture locali, al fine di educare alla mondialità, aggiunge padre Brambillasca (superiore generale del Pime, la cui sede principale è ora trasferita da Roma a Milano).

    Il museo è nato nel 1910 con il nome "Museo etnografico indocinese". Infatti i primi oggetti furono portati in Italia da padre Carlo Salerio, partito nel 1852 per la Papua Nuova Guinea con la prima spedizione missionaria del Pime, ma i bombardamenti aerei su Milano nel 1943 li distrussero quasi completamente. E' stato poi continuamente arricchito con nuove collezioni, oggetti spediti dai missionari, lasciti e donazioni. Negli anni '70 ha preso un nuovo nome: "Museo di arte estremo orientale e di etnografia", abbreviato nel 1998 con l'attuale nome. In particolare è possibile osservare in una vetrina il prezioso e antico atlante del Seicento del missionario gesuita Martino Martini, e soprattutto sfogliarlo virtualmente nella vetrina a fianco. La sezione più ricca proviene dalla Cina, con tessuti, ceramiche, bronzi, smalti, giade, avori, ricchi kimono; interessanti gli oggetti legati a buddismo, taoismo, induismo, o al culto degli spiriti, e infine i piumaggi brasiliani.

    Infatti è stata allestita nella sala delle esposizioni temporanee del nuovo Museo la mostra "Il grido dell'Amazzonia": un viaggio nel polmone della terra e nelle sue culture indigene, anche attraverso alcuni oggetti della collezione di Raffaele Zoni. La mostra è visitabile fino alla fine di ottobre. (http://www.amazzonia2019.com).

      Il giorno prima si era tenuto al Pime il convegno "Il grido dell'Amazzonia: Ricchezza, drammi e sfide di una regione in crisi", in preparazione al Sinodo dei vescovi in programma a Roma dal 6 al 28 ottbre p.v. Nel pomeriggio è stato poi presentato il libro "Viaggio in America Latina", curato da Alberto Caspani per l'Editrice Luni, sulle esplorazioni del brianzolo Gaetano Osculati che nell'Ottocento fecero conoscere l'Amazzonia in Italia. Osculati, dopo aver viaggiato in Egitto, Siria, Arabia e Asia minore , si dedica all'America meridionale, e negli anni 1834-35-36 la attraversa da Montevideo a Santiago e Valparaiso; poi nel 1847-48, sulle orme dello spagnolo Francisco de Orellana del 1500, attraversa per via fluviale l'America Equatoriale dall'Atlantico al Pacifico.

    E infine una testimonianza diretta: il bergamasco mons.Giuliano Frigeni, missionario del Pime e vescovo di Parintins, ha raccontato la sua esperienza in Amazzonia, dove vive da ormai quarant'anni.

    *Via Monte Rosa 81 - 20149 Milano

    Tel. 02 438221 - museo@pimemilano.it - www.pimemilano.it - www.museopopolieculture.it

  • Kolowaré 2°

    Scrive Padre Galli: VISITE DALL'ITALIA

    Ancora una volta il Centro Sanitario di Kolowaré ha ospitato un gruppo di medici e dentisti dell’AVIAT (Associazione Volontari Italiani Amici Togo). Questo organismo aveva già provveduto, qualche anno fa, ad allestire un gabinetto dentistico nel Centro, ed ora è perfettamente funzionante. Questo ambulatorio continua la sua attività con un tecnico dentista formato dai dentisti italiani. Questa volta il gruppo era numeroso: presente il responsabile, dottor Gianfranco Mirri, due dentisti, Alessandro e Denis, quattro dottoresse e una infermiera. Con loro erano presenti alcuni oculisti locali che hanno operato un centinaio di pazienti di cataratta. Tutte le spese, intervento, medicine, vitto e trasporto per medici e ammalati, sono stati presi in carico dall’AVIAT.

                      

    Operati in attesa di controllo - Pazienti in attesa

    Il gruppo si è installato al Centro Sanitario, guidato dalla nuova responsabile suor Claire. Il primo giorno hanno lavorato solo la mattinata. Nel pomeriggio siamo andati tutti in un villaggio della parrocchia di Affem Kabyè, ad una cinquantina di km da Kolowaré, per vedere i lavori di scavo per un pozzo, offerto da due dottoresse. Le macchine trivelle erano già sul posto e al lavoro dal mattino. Ad una settantina di metri hanno trovato una roccia, perforata, e da sotto è zampillata una polla d’acqua talmente importante, limpida e pulita, che tutti si sono messi ad applaudire.

                          

    Ad Affem per il rinfresco- E l'acqua esce in abbondanza

    Padre Roberto, il parroco, ci ha poi condotto ad Affem dove, in un parco allestito nel terreno della parrocchia, ha offerto a tutti un rinfresco con pollo arrosto e frittelle di ignami. Affascinati dal posto e dall’ambiente i dottori hanno deciso di venire, il giorno dopo, a curare gli ammalati del luogo. Siamo poi ritornati sul luogo del nuovo pozzo e l’acqua fluiva abbondante. E così martedì 9 novembre tutti i medici, meno i dentisti, sono tornati ad Affem per offrire cure e medicine gratis a tutti.   

                                          

    Con Gamal accanto al nuovo pozzo - Bambino appena operato

    La voce della loro presenza si era diffusa. Il villaggio di Atchibodow è venuto a chiedere di fare una trasferta anche da loro. Giovedì 11, accompagnati da Jean, l’infermiere del Centro, si sono recati al villaggio. Fine mattinata passo a trovarli. I pazienti gremivano la piazza della Chiesetta. Era certamente molto laborioso avere un’attenzione particolare per ogni paziente.

                           Dentisti al lavoro

  • Ricordando Lidia Cicerale

    Lidia Cicerale (prima a sinistra, insieme ad Attilio Gaudio) nel 2000, in una delle biblioteche del deserto della Mauritania (foto Sam Selmou)

    Il Centro Studi Archeologia African (CSAA - www.csaamilano.it ) ha ricordato con una giornata speciale "l'avventura umana e scientifica" di una persona che per trent'anni è stata l'anima e la mecenate di questo centro milanese, sito presso il Museo civico di Storia Naturale di Milano. Erano presenti in molti: gli innamorati dell'Africa e dell'archeologia, la famiglia commossa, e soprattutto i collaboratori, i co-fondatori del Centro, e gli studiosi che via via si sono inseriti ed hanno partecipato alle numerose missioni sul terreno, ricerche, congressi, seminari. "Sarà il nostro modo, hanno scritto gli organizzatori,  per ricordare Lidia Cicerale e per presentare una serie di nuovi contributi alla storia dell’Africa e, più in generale, alla conoscenza della vicenda umana."

    Hanno preso la parola Giulio Calegari e Giorgio Terruzzi, rievocando gli inizi e l'entusiasmo e la disponibilità di Lidia, e insieme a lei gli oltre 30 anni di vita del Centro Studi Archeologia Africana. Poi Gigi Pezzoli, attuale presidente del CSAA, ha presentato "Pierre Reinhard: un ricercatore francescano nel Nord Togo". Altri interventi hanno illustrato esplorazioni e ritrovamenti recenti nel Deserto Libico (Maria Emilia Peroschi e Flavio Cambieri) - il Gran Mare di Sabbia, GSS, e l'origine delle società moderne (Lorenzo De Cola) - il poggiatesta, confronto tra l'etnografia africana e l'antico Egitto (Franco Di Donato) - vita con una famiglia tuareg nell'oasi di Djanet, Algeria (Giovanna Soldini). E poi: Gilberto Modonesi: percezione del mondo nilotico da parte dei Romani - Itala Vivan: musei delle migrazioni, alle porte d'Europa (partendo dalla Porta d'Europa di Mimmo Paladino a Lampedusa) - Barbara Barich: il potere dell'immagine nella preistoria del Sahara. Infine Christian Dupuy (dell'Institut des Mondes africains) ha interpretato arti e società dell'Africa settentrionale in maniera molto interessante , parlando di una "médiation horizontale" (con la vita quotidiana, la sopravvivenza, tutto ciò che circonda l'uomo al suo livello) e la "médiation verticale", lo spazio virtuale del soprannaturale, del magico, del mistero.

    E per concludere, Giulio Calegari, "armato" di uno strumento musicale (comprato da Lidia) che non ha potuto suonare per mancanza di corde, ha lanciato "sguardi spontanei e voli pindarici sull'arte rupestre", e proiettato immagini di graffiti rupestri eritrei, in cui compare lo stesso strumento.

     

     

     

     

  • Notizie dal Niger (maggio 2017)

    L' ASSOCIAZIONE TRANSAFRICA SVILUPPO* di Firenze ci invia notizie ricevute da Aboubacar, responsabile del Foyer d'accueil  ILMI di Niamey, uno dei progetti in cui Transafrica è impegnata da anni con i fondi raccolti grazie a eventi culturali, donazioni e 5x1000. Questa casa di accoglienza, aperta nel 2012, promuove la scolarizzazione dalle medie al liceo di giovani dei due sessi tra i 14 e i 20 anni, provenienti principalmente da una località a est di Agadez, Tchintaborak.  
    I giovani accolti nella casa, a condizioni accettabili per vitto e alloggio, ricevono anche vestiario e forniture scolastiche, e sono seguiti negli studi da un tutore.  
    Dopo una breve descrizione anche fotografica della vita e delle attività del Foyer, Aboubacar si presenta con queste parole:
     
    "Gérant du foyer d'accueil ILMI, il est l'âme de ce projet. Depuis la création du foyer en 2012, Aboubacar parcourt la France et l'Europe, pour tisser des liens avec des associations et des ami(e)s qu'il a rencontré soit au Niger, soit en France ou en Italie.
    Infatigable, chaque année, il part avec son sac de bijoux et d'artisanat réalisés par les artisans de la Coopérative Tafolt, dont il est le secrétaire, et dont une partie des ventes sert à financer le foyer d'accueil. Enfant d'une famille nomade, la vie a fait qu'il a eu la chance d'aller à l'école, il a bien compris l'importance aujourd'hui de la scolarisation des enfants pour le développement des zones nomades, où la vie est très difficile.
    Aboubacar parle français, il sait écrire et se servir d'un PC pour envoyer des mails ou se connecter à Facebook. Lorsqu'il n'est pas à Niamey pour s'occuper du foyer, il parcourt aujourd'hui son pays dans les zones où la "folie de l'or" fait rage : avec curiosité, il filme, photographie, interroge les orpailleurs : un travail de recherche qui le fait devenir conférencier pour des amis chercheurs et géographes.
    Sur sa route en France, grâce au covoiturage, il croise Guillaume Gendron un journaliste; de cette rencontre naitra un article paru dans le journal Libération, puis une interview dans une émission sur Arte. Mais au milieu de toutes les multiples activités qu'il développe, son principal objectif c'est bien le foyer, les enfants à scolariser, le rôle qu'il s'est donné, humblement, pour son passage sur terre. Une vie de nomade, toujours, ancrée dans son époque malgré les difficultés, les obstacles et les frontières à franchir.
    Une vie qu'un jour, qui sait, il écrira lui même sur le papier."

    *Associazione di solidarieta' internazionale per il volontariato nella cooperazione partenaria allo Sviluppo Umano nel Nord e nel Sud del Mondo
    Via Fiume, 11 - I-50123 FIRENZE
    Tel: +39-055-430420 +39-348-3973603
    Fax: +39-055-430420
    Email: info@associazionetransafrica.org 
    Web: http://www.associazionetransafrica.org 
  • Scoperti utensili paleolitici in India

    I risultati dei lavori di un'équipe britannica (pubblicati sul quotidiano online The Independent) sembrano aggiungere nuove ipotesi alle teorie sull'evoluzione umana.

    Nel sito archeologico di Attirampakkam, nel sud-est dell'India (60 km da Chennai, Tamil Nadu) sono stati scoperti strumenti antichi di almeno 385.000 anni, epoca che coincide con il periodo in cui questa tecnologia sarebbe stata utilizzata per la prima volta dall'uomo moderno in Africa. Finora si pensava invece che L'India avesse conosciuto questa tecnica tra 140.000 e 46.000 anni anni fa, con la migrazione dall'Africa dell'uomo moderno. Questa scoperta anticiperebbe questa migrazione dall'Africa verso l'Asia ad almeno 400.000 anni fa; sarebbe quindi più antica di quanto si pensava? Oppure gli ominidi indiani di quell'epoca hanno sviluppato una propria cultura del Paleolitico Medio? E ancora: si tratta di uomini moderni o di Neandertaliani o di altre specie arcaiche?

      Rimangono quindi molti interrogativi, soprattutto  per la mancanza di resti umani associati alle scoperte. Anche perché in passato si era parlato di utensili di un milione e mezzo di anni! 

  • Migrazioni e incroci di Homo

    Browning et al./Cell - Il grafico mostra le migrazioni dei Denisoviani  in Asia e Oceania, e ipotizza genomi misti con Neandertaliani e sapiens moderno.

    Infatti, da quando è stato analizzato nel 2010 il genoma dell'Homo di Denisova (a partire da pochi fossili: una falange e due molari), sappiamo che alcune popolazioni dell'Oceania (Papua, Nuova Guinea, isole Cercanas) contengono nel loro DNA il 5% di quello di Denisova. Anche le popolazioni dell'est e del sud dell'Asia contengono lo 0,2% del DNA denisoviano, ma sembra che questo sia dovuto a migrazioni (e quindi incroci) delle popolazioni oceaniche verso il continente.

    Uno studio, pubblicato dalla rivista Cell, ha effettuato le sue ricerche in merito grazie ad un nuovo metodo di analisi, basato sui dati dei progetti "UK10K, 1000 Genomi e Differenze dal Genoma Simons" (specie di catalogo di genomi di 300 individui appartenenti a 142 diverse popolazioni). Quindi gli umani moderni (Homo sapiens sapiens, Neandertal e Denisova) sono esistiti nelle stesse epoche, incrociandosi e scambiandosi porzioni di DNA. Ma erano umani geneticamente diversi, pur avendo un antenato comune (che si pensa sia esistito per un milione di anni, e sia originario del continente africano). 

    Quanto a Spagnoli e Italiani, abitanti nell'estremità meridionale dell'Europa, si può affermare che nel loro DNA non esistono geni denisoviani, e che la percentuale di geni Neandertaliani è molto bassa (in base ai 5.639 individui esaminati). 

     

     

     

  • L'Africa nel cuore di Lucio Rosa (28.10/27.11.2016)

      In ventisei scatti selezionati, il regista, fotografo e produttore veneziano Lucio Rosa ha immortalato alcuni gruppi etnici di Congo, Kenia, Etiopia, sempre meno numerosi e probabilmente in pericolo di estinzione.

    Sono i Dassenech, i Pokot, gli Hamer, i Babinga che popolano la mostra fotografica "Con l'Africa nel cuore" che, inaugurata il 28 ottobre 2016 a Licodia Eubea (Catania), si potrà ancora visitare sabato 26 e domenica 27 novembre dalle 17 alle 21. L'evento è contestuale all'apertura della VI edizione della Rassegna del Documentario e della Comunicazione archeologica di Licodia Eubea (Sicilia) (vedi https://archeologiavocidalpassato). Nella foto, il regista con il direttore artistico.

    La Rassegna si chiuderà con un bilancio positivo, dichiarano i direttori artistici Lorenzo Daniele e Alessandra Cilio, mentre è già stato consegnato al toscano Piero Pruneti, direttore di Archeologia Viva, il premio "Antonino Di Vita". Questo archeologo siciliano di fama internazionale, scomparso nel 2011, ha sempre visto in Licodia Eubea il suo "luogo dell'anima".

    Invece il luogo dell'anima di Lucio Rosa è sempre l'Africa, soprattutto da quando, negli anni '80 vi realizza reportage cinematografici e fotografici su incarico delle Agenzie delle Nazioni Unite. Così, le etnie rappresentate in questa mostra rivivono per i nostri occhi e cuore, grazie alle immagini di Lucio, il loro speciale, millenario, prezioso rapporto simbiotico con l' ambiente da cui sono nate e in cui cercano ancora di sopravvivere, malgrado (o forse con) il turismo e le "ruspe" del progresso. (M.C.G.)

  • Persia: graffiti di cinquemila anni

    Un'équipe di archeologi ha scoperto nella regione di Isfahan, lungo il percorso di antiche vie di comunicazione commerciali, economiche e culturali, antiche rocce incise con vari segni e simboli, risalenti al terzo millennio a.C. (età del Bronzo) fino al periodo preislamico.

      incisioni a Meymeh

    Lo ha annunciato il capo della Isfahan's Cultural Heritage Organisation, Fereydoun Alahyari, sottilineando che si tratta delle prime manifestazioni, nella regione, di una forma di comunicazione non verbale e intuitiva tra popolazioni vicine preistoriche.

    E' durante le ricerche nelle città di Shahin Shahr e Meymeh, poi estese a Kashan, Ghamsar,  e Golpayegan verso nordest, che sono state fatte varie scoperte: un'antica collina del periodo sasanide (224-651 d.C., secondo impero persiano), una zona mineraria del periodo samanide (819-1005 d.C.), varie tombe  anch'esse preislamiche.

    Così, cinquemila anni fa, antiche strade collegavano -grazie alle indicazioni di queste pietre, conosciute come Negarkand- le economie e le civiltà degli abitanti dell'altipiano iraniano, ben prima dell'arrivo di altre popolazioni scese da nord.

  • 2016 Nigrizia: Libia e la sfida dell' IS

    Come ogni martedì, Nigrizia organizza un incontro-dibattito-informazione su un argomento di attualità. Il 5 aprile 2016 (ore 20,30 – sala Africa dei Missionari Comboniani in Vicolo Pozzo 1, Verona) si parla di Libia, la sfida del Gruppo Stato Islamico. Sarà un dialogo tra il direttore di Nigrizia, p. Efrem Tresoldi, con il prof. Antonio M.Morone, ricercatore in Storia dell’Africa all’Università di Pavia. “La guerra non è il mezzo adeguato per sconfiggere il terrorismo del Gruppo Stato islamico (Is) né tantomeno per portare stabilità in Libia». È un passaggio del documento contro la guerra, lanciato il 9 marzo dalle riviste missionarie e dell’area nonviolenta.  

    “La Libia rappresenta il classico esempio - scrive Nigrizia- degli orrori occidentali, applicati nel sud del mondo. Con la complice collaborazione delle petromonarchie del Golfo e dell’Egitto." Orrori, quindi errori, smania di potere, di risorse, di territorio, di appalti. Si dimentica  “che la Libia, -continua Nigrizia- come l’abbiamo imparata a conoscere sugli traffici illegali di armi, persone e droga, all’accesso alle risorse minerarieatlanti, non esiste più.  Dopo 42 anni di tirannia gheddafiana, i poteri formali non contano più nulla. E quelli informali sono impegnati ad arraffare ciò che vale tra Sahara e Sahel: dai traffici illegali di armi, persone e droga, all’accesso alle risorse minerarie"..”  Tripoli, novembre 2009 (foto Mila C.G.)

    Sarà possibile una soluzione politica? L’obiettivo è la spartizione del paese tra le potenze interventiste e i loro referenti locali? E’ il momento di agire con la forza?  “Magari con l’avallo dell’Onu. - conclude Nigrizia- al di là dei vari schieramenti in campo (il governo di Tobruk e quello di Tripoli; laico il primo, islamista vicino ai Fratelli musulmani il secondo) e delle decine se non centinaia di bande armate che controllano più o meno grandi fette di territorio”.

    Per informazioni: Fondazione Nigrizia Onlus: 045.8092390 - Centro Missionario Diocesano: 045.8033519  - Missionari Comboniani -  37129 - Verona -Tel. 045.8092290 -www.fondazionenigrizia.it   www.nigrizia.it   www.museoafricano.org

     

     

     

     

  • Homo naledi e Cheikh Anta Diop: due interrogativi

    Settembre 2015 - La scienza non è dogmatica, ogni ipotesi deve essere considerata “vera” fino a quando non si dimostra il contrario. Così, mentre ci si interroga ancora sul colore della pelle dei Faraoni e dei loro sudditi (erano neri?), una nuova specie del genere Homo, con caratteristiche primitive e moderne insieme, è stata scoperta in Sudafrica. Un ritrovamento che potrebbe far riscrivere la storia dell'evoluzione della nostra specie?

  • Charles de Foucauld: cent'anni dalla scomparsa

      Al Pime di Milano (via Mosé Bianchi 94) si parlerà mercoledì 12 ottobre 2016 (ore 21) dell'attualità di Charles De Foucauld a cent’anni dalla sua morte.  "Sorella ANTONELLA FRACCARO delle Discepole del Vangelo, grande conoscitrice del “Fratello Universale”, cerca di tradurre nella quotidianità della sua vita, insieme alle consorelle, la spiritualità di De Foucauld, declinata in uno dei tanti «piccoli nidi di vita fervente e laboriosa» che sono nati dalla sua ispirazione, a servizio di Dio nell’adorazione eucaristica e nell’annuncio rispettoso e discreto del Vangelo." Il suo intervento, precisa il Centro Missionario, si inserisce nel ciclo di incontri dell’OTTOBRE MISSIONARIO PIME 2016 sul tema: “FRONTIERE. PERCORSI DI RIFLESSIONE AI CONFINI DELL’ESISTENZA”.

    Inoltre, sabato 3 dicembre, si terrà a Milano presso la Caritas Ambrosiana (via S.Bernardino 4, ore 10,30) un convegno in ricordo del "piccolo fratello universale".

  • Paleoantropologia, nuova scoperta in Israele

    Una vertebra umana preistorica, datata 1,5 milioni di anni,  è stata scoperta nel nord di Israele, nella valle del Giordano, a Ubeidiya, dagli archeologi della Università Bar-Ilan, diretti da  Alon Barash, insieme al Collegio Accademico Ono, l’Università di Tulsa e l’Autorità delle Antichità di Israele. Importante scoperta, che  dimostra l'esistenza di ondate migratorie diverse "out of Africa". Infatti é il secondo fossile arcaico di ominide trovato al di fuori dell’Africa; i più antichi risalgono a 1,8 milioni di anni fa e sono stati rinvenuti a Dmanisi, in Georgia.

    Vertebra, Ubeidiya (Israele)- foto a) superiore b) posteriore c) inferiore d)frontale (Dr. Alon Barash, Università Bar-Ilan)

    La storia di questo osso inizia nel 1959, quando un agricoltore del Kibbutz Afikim, lavorando un terreno in una zona che non era ancora riconosciuta preistorica, portò alla luce alla luce alcune ossa, inclusi un teschio e alcuni denti. Gli scavi iniziarono nel 1960, e nel 1966 l’archeologo Moshe Stekelis trovò questa vertebra, che fu messa in una scatola con la scritta "Homo?" e dimenticata. Dopo vent’anni, la paleoantropologa dell’Università di Tulsa, Miriam Belmaker, che stava lavorando sulla ricostruzione del paleoclima dell’Ubeidiya preistorica, rianalizzò tutti i fossili trovati nel sito. E, scoprendo quel pezzo di spina dorsale, capì subito che non era una scimmia: il reperto, non completamente ossificato, è molto più grande anche di quello degli erectus africani. Secondo gli scienziati, poteva trattarsi di un caso di ossificazione ritardata, e in tal caso il bambino, pur restando un soggetto molto “robusto”, avrebbe avuto un’età compresa tra 6 e 12 anni alla morte, un'altezza presunta di un metro e mezzo, e un peso di 45-60 chili!

    Tuttavia, da allora iniziò un incessante studio comparativo su tonnellate di vertebre di antichi ominidi, umani moderni, iene, rinoceronti, leoni, scimmie e altri animali sospetti. In conclusione, dopo aver fatto una comparazione delle tre vertebre presacrali inferiori (negli esseri umani moderni, nei Neanderthal, negli Australopitechi, e negli scimpanzé) e dopo aver escluso che si trattasse di un animale, gli scienziati hanno stabilito la giovane età dell’ominide in base alla parziale ossificazione. Il che fa però ipotizzare una possibile statura media in età adulta intorno ai 2 metri.

    E' stata studiata anche la cultura materiale dei due siti, georgiano e israeliano. Mentre a Ubeidiya i manufatti di pietra e silice, le accette di basalto, gli utensili da taglio sono associati alla cultura acheuleana avanzata (Paleolitico inferiore), gli utensili di pietra di Dmanisi appartengono alla cultura olduvaiana primitiva (Paleolitico inferiore arcaico), risalente a ondate di migrazioni di ominidi arcaici durante il Gelasiano, il periodo più antico del Pleistocene.

    Quindi le due diverse industrie sono state prodotte da due diverse specie umane arcaiche. E il bambino "gigante" della Valle del Giordano e l’Homo georgicus di Dmanisi non sarebbero della stessa specie. Il che significa che gli archeologi hanno scoperto una nuova specie, un anello mancante nell'evoluzione umana, e che le migrazioni in Africa avvennero in più ondate, in un lasso di tempo che le separa tra loro dai 200.000 ai 300.000 anni.?

    Per Alon Barash non c'è dubbio: "Data la differenza tra le dimensioni e la forma di questa vertebra e quelle riscontrate in Georgia riteniamo evidente e senza equivoci la presenza di due ondate migratorie distinte". Da un altro punto di vista, la paleoantropologa Miriam Belmaker (Università di Tulsa) afferma in sintesi: Una delle principali domande rispetto alla diffusione umana fuori dall’Africa sono le condizioni ecologiche. In teoria si discute se gli antichi ominidi, lasciando le foreste africane, avessero preferito un habitat di savana o di bosco umido. La scoperta di due specie diverse a Dmanisi e Ubeida, concorda con un clima diverso: più umido e compatibile con quello mediterraneo vicino al lago, e più secco e boscoso nel Caucaso. Inoltre le due specie hanno prodotto due tipi di utensili di pietra diversi.

    In conclusione l’antica migrazione umana dall’Africa verso l’Eurasia, di circa 1,8 milioni di anni fa (nel Caucaso, Repubblica di Georgia), non fu un evento unico, ma è stata seguita da una seconda, di approssimativamente 1,5 milioni di anni, in Israele a sud del lago di Tiberiade, il Mar di Galilea.

     (ECG)
  • Etiopia 2020: acqua e fuoco (2)

     

    DIGA SUL NILO AZZURRO - Il riempimento e' iniziato

         

    Cascate del Nilo Azzurro dopo l'uscita dal lago Tana (Foto MGC, 2012)   Queste Cascate, conosciute come Tis Issat o Tissisat in amarico (acqua fumante) sono situate nella prima parte del corso del fiume, circa 30 km dalla cittadina di Bahar Dar e dal Lago Tana.

    E' in costruzione avanzata in Etiopia, nello stato di Benishangul-Gumuz, a circa quindici chilometri a est del confine con il Sudan la diga “Grand Ethiopian Renaissance Dam” o GERD (in amarico : ህዳሴ ግድብ) sul le Nilo Azzurro. Anzi, è iniziato questa estate lo riempimento nonostante l'assenza di accordi con gli stati confinanti. Immagini satellitari catturate tra il 27 giugno e il 12 luglio 2020 ritraggono l'incremento dell'acqua nel bacino a monte della grande diga, come del resto ha dichiarato il ministro delle Risorse Idriche, dell'Irrigazione e dell' Energia etiopico, Sileshi Bekele. Quello della diga è un progetto da circa 5 miliardi di dollari che, una volta ultimato, darà luogo alla centrale idroelettrica più grande dell'Africa, pari solo a quella di Inga, sul fiume Congo, nel Congo Kinshasa (che funziona però al 10/15 per cento della sua capacità). Chiamata anche Grande Diga del Millennio, o diga di Hidase, questa diga etiopica a gravità avrà una potenza installata di 6.450 MW, l’equivalente di sei reattori nucleari.        

    Il Nilo Azzurro (in arabo Baḥr al-Azraq), dalle acque limpide in contrasto con il Nilo Bianco, ha origine dall'Altopiano Etiopico di origine vulcanica, presso il lago Tana. Mentre il Nilo Bianco (con cui confluisce a Khartoum in Sudan, formando il Nilo) ha una portata quasi costante nel tempo, il Nilo Azzurro è caratterizzato da un regime irregolare, alla base delle piene fluviali annuali che hanno segnato la storia dell’Egitto fin dall’antichità. La costruzione e la messa in funzionamento di questa diga hanno quindi alterato degli equilibri millenari e minacciano la stabilità tra i paesi che sfruttano le acque del fiume. Il particolare l'Egitto, la cui vita continua ad essere legata al fusso e deflusso del Nilo.

    Il progetto, già auspicato dall'ultimo imperatore d'Etiopia Hailé Selassié, e approvato una decina di anni fa dall'allora premier Meles Zenawi (che ha posto la prima pietra il 2 aprile 2011), ha subìto ritardi per lo scandalo che ha coinvolto Metec (industria etiope di armi, attrezzature militari e macchinari fondata nel 2010). Il paese ha bisogno di energia pulita, eventualmente da esportare, per diversificare la sua economia prevalentemente agricola, compromessa dalla siccità, e attualmente anche dalle migrazioni delle locuste.  I lavori, iniziati cinque anni fa, sono stati realizzati principalmente dall’italiana Salini Impregilo (senza gara d'appalto), che ha collaborato anche ad altri lavori idroelettrici in Etiopia, e specialmente alle dighe sul fiume Omo, nel sud.

         

    Il Nilo Azzurro a qualche km dalle cascate (foto MCG, 2012)

    I lavori sono stati eseguiti su entrambi i lati del fiume, che è stato deviato durante la stagione secca mediante canali sotterranei o tubature per consentire la costruzione dello sbarramento. Il fiume così scorre nei canali di derivazione ai lati del muro. Durante la stagione delle piogge, l'acqua in eccesso, che non può defluire nei canali, si aggiungerà al lago che va formandosi dietro la diga. Eventualmente saranno chiuse le valvole a barriera di alcuni canali per aumentare il livelli dell'acqua a monte. Come riportato sul sito di Salini Impregilo, una volta terminati i lavori, il  bacino avrà una lunghezza di 1,8 chilometri e una profondità di 155 metri, con una capienza di circa 74 miliardi di metri cubi d’acqua, che saranno sfruttati per produrre almeno seimila megawatt di energia elettrica. Il gettito annuo del Nilo Azzurro è di 49 miliardi metri cubi.

    L’opera è stata autofinanziata, mentre in passato la Banca Mondiale e altre strutture internazionali avevano rifiutato, per non innescare tensioni con i vicini Sudan e soprattutto Egitto (i trattati internazionale del 1929 e 1959 avevano stabilito che i volumi d’acqua del Nilo dovevano essere divisi tra Egitto e Sudan). Etiopia, Egitto e Sudan avevano anche stipulato un accordo sulla creazione di un comitato scientifico, incaricato di studiare l’impatto della diga. Gli esperti avevano consigliato che, una volta ultimato lo sbarramento, durante la fase di riempimento (si calcola che ci vorranno non meno di tre anni) l’Etiopia avrebbe dovuto consentire la prosecuzione di un gettito d’acqua pari a 35 miliardi metri cubi, mentre l’Egitto ne pretende 40. Tuttavia l'Etiopia negli scorsi mesi ha annunciato la volontà di portare a conclusione il progetto, anche senza un accordo con Egitto e Sudan. Una decisione che ha indotto l’amministrazione Trump a bloccare i fondi, ma in soccorso del primo  ministro Abiy Ahmed è intervenuta la Cina.

    Tuttavia, appena ripresi i colloqui sulla spartizione delle acque del Nilo, i due paesi hanno espresso opinioni ancora divergenti (Il Cairo del resto ha sempre espresso perplessità sulla GERD, temendo un'eccessiva riduzione della portata del Nilo). Si prevedono trattative a ripartire da zero per gli scienziati e i politici, con l’intento di creare una reazione a catena, e trovare un accordo con i Paesi coinvolti per un equo sfruttamento delle risorse idriche del Nilo, sia durante la fase di riempimento, già iniziata, che a regime.

          

    Lago Tana - Bahir Dar (Foto MCG, 2012) - Al tramonto - un pescatore , turisti -

    Il Nilo Azzurro nasce a Gish Abbai, un luogo sacro per la Chiesa etiope, con tre piccole sorgenti nel raggio di 20 metri, a 2 744 metri di altezza.  Il primo europeo a visitare il luogo fu il missionario cattolico spagnolo nel 1618. (vi sorge un venerato santuario). Questa sorgente si versa col nome di Lesser Abbai nel lago Tana.

     

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  • Costa d'Avorio, migrazione e miele

       Secondo i dati delle autorità italiane e del ministero degli interni della Costa d'Avorio, almeno 1500 ivoriani sono censiti ogni mese sulle coste italiane. E un terzo dei migranti che arrivano in Italia provengono dall'ex colonia francese del golfo di Guinea. Passano da Daloa, nel centro-ovest del paese, o da San Pedro nel sud-ovest, diretti comunque in Libia per poi raggiungere l'Europa. Eppure la Costa d'Avorio, paese poco popoloso e ricco di materie prime agricole come caffè e cacao, esercita, a sua volta, una forte attrazione sugli africani stessi dei paesi confinanti: Togo, Benin, Burkina Faso, Mali, Guinea, Senegal.
    Questa immigrazione dai paesi della sotto-regione francofona era stata favorita dalla Francia. E per tre decenni questa politica liberale aveva dato il diritto  ai "fratelli" dell'Africa occidentale di avere accesso alla terra ivoriana, ai pubblici impieghi e persino a diverse elezioni.
    Il clima è progressivamente e profondamente cambiato. Se i giovani ivoriani sono attirati dall'Europa o dal Canada, i confinanti sono attirati per le stesse ragioni dalla Costa d'Avorio. In effetti, secondo il FMI, questo paese sarà leader nella regione in materia di crescita economica per i prossimi due anni, con cifre tra il 7% e l'8%. Tuttavia in alcune regioni periferiche il tasso di disoccupazione resta alto. Per gli immigrati è difficile trovare lavoro, e più facile entrare nelle spire della criminalità. 
    Gli sforzi dei paesi occidentali, insieme alle nazioni africane terra d'esportazione, dovrebbero favorire il legame tra i nativi e la loro terra, non il land grabbing o l'importazione di manodopera e di cervelli.
    Una piccola iniziativa esemplare da moltiplicare, per legare invece gli africani alla loro terra, è nata nel nord ovest della Costa d'Avorio a Kani, zona tropicale. Qui molti giovani di etnia mossi, provenienti dal Burkina Faso (ex Alto Volta) dove hanno abbandonato le terre d'origine, sono migrati per cercare un improbabile lavoro. Così un giovane missionario del Pime (Pontificio istituto missioni estere), il brasiliano padre Valmir Manoel Dos Santos, ha lanciato un progetto di apicoltura!
    Si chiama "Wend Songda", cioè "onnipotenza di Dio" nella lingua mooré parlata dai mossi. Una piccola realtà in un contesto prevalentemente musulmano (90%), con 7-8% animisti, 2% cristiani e 1,5% cattolici. Con l'aiuto del consiglio parrocchiale di Kani, di alcuni esperti locali e della capitale Abidjan, (ma anche della Fondazione Pime) sono state installate cinquanta arnie e il miele verrà raccolto e commercializzato dalla cooperativa creata allo scopo. In effetti il miele è molto ricercato in tutto il paese, e nella zona la produzione è scarsa. Inoltre il progetto incoraggia anche l'autonomia oltre alla formazione, poiché una volta imparato il "mestiere", gli apicoltori, anche non cristiani, potranno lavorare anche in proprio, senza abbandonare la cooperativa.

  • Togo, religioni e riti

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    La missione della SMA a Kolowaré (foto Silvano Galli)

    Dal Togo, padre Silvano Galli, missionario della SMA (Società Missioni Africane) ci invia ogni mese una storia, una testimonianza, un film documentario di parole e immagini sulla vita quotidiana a Kolowaré. Questa volta il messaggio è importante: il tipo di rapporti che esistono in questo angolo d'Africa fra Cristiani e Musulmani. Reciproco rispetto e partecipazione. Ecco in breve il suo racconto. 

    "Lunedì 12 settembre abbiamo festeggiato l’Aïd el Kebir, o Tabaski. La festa ha luogo due mesi lunari e dieci giorni dopo la fine del Ramdam. Kolowaré è alla grande festa, per piccoli e grandi. Nella tradizione musulmana questa festa commemora il sacrificio del figlio di Abramo, Ismaele, cui l’angelo Gabriele ha sostituito un ariete. Abramo è colui che adora il Dio unico senza compromessi, modello per ogni musulmano. La sua fede comporta sottomissione e obbedienza. Con la celebrazione dell’Aïd el kebir i musulmani si uniscono ai pellegrini della Mecca che, in questo giorno, terminano il loro pellegrinaggio centrato sulla domanda di perdono... ".

    Padre Galli , invitato, cerca l'amico Bassarou e gli dà la somma pattuita per partecipare alla cerimonia. "Davanti gli uomini, dietro le donne e i bambini. Inizia la grande preghiera. E’ l’Imam che la dirige. I fedeli, in piedi, in ginocchio, prostrati, seguono le sue indicazioni. Preghiera di intercessione, adorazione, ringraziamento, perdono. Al termine, mentre l’assemblea si scioglie, l’Imam e il capo villaggio continuano con preghiere personali per tutta la comunità e una esortazione sui problemi del villaggio." 

    Poi i fedeli si dirigono verso l'abitazione dell'Imam, davanti alla quale sarà immolata  la prima vittima.

    "Un gruppo di gente è attorno al bue steso e legato a terra. Gli viene chiuso il muso, poi il sacrificatore si avvicina e fa questa preghiera: Nel nome di Allah! Dio è grande! Mio Dio, da te, di te, e per te questo sacrificio. Accettalo da me come l’hai accettato dal tuo amico Abramo. Con un taglio netto recide poi la iugulare aprendo poco alla volta il collo dell’animale. Il sangue cola nella fossetta sottostante. Tutt’attorno un nugolo di gente che partecipa intensamente al rito. Bassarou mi accompagna nella piazza accanto dove sarà sacrificato un grosso giovenco, offerto in nome del capo villaggio. Con una novità. Un musulmano tedesco fa la preghiera prima  dell’immolazione, evocando e pregando per i sette amici che hanno contribuito all’acquisto dell’animale."  Padre Silvano si avvia poi verso le corte di Afo Goma per partecipare al sacrificio in onore del vecchio padre Wuro Adam, deceduto un paio di anni fa.

    Ma un giovane della missione lo cerca urgentemente perché "è deceduta Adjeretou, l’abbiamo portata al cimitero alle 3 di stanotte”. Altro dramma nella comunità cristiana: la notte precedente era deceduto, in un incidente stradale, il giovane Prosper Assimadi, e il padre è stato chiamato per il funerale.

    Ma la festa al villaggio continuerà per tutta la settimana. E non è finita! Pochi giorni dopo, alle 7 è arrivata alla missione una delegazione del capo villaggio con tre bacinelle di grossi ignami e due polli. E' il loro contributo alla festa del sabato  successivo, giorno in cui Padre Silvano ricorderà con la comunità  suoi cinquant'anni di ordinazione (avvenuta ad Omegna, sul lago Maggiore, il 1° ottobre 1966).

    Questa festa è poi durata tre giorni, e ai presenti, comprese le delegazioni dei villaggi, padre Silvano ha offerto un pacchetto di mandorle con la scritta: “sotto l’apparenza rugosa della scorza, si trova la preziosa mandorla”. Al termine di canti e danze, si avvicina l'amico Giagafo: “Grazie per aver festeggiato con noi, e non nel tuo villaggio d’origine, anasara moola”  (Bianco moola, il clan regale dei Kotokoli).

    P. Silvano Galli Kolowaré, B.P. 36 SOKODE - Togo
    T. 00228. 90977530 - 00228.24451012

  • La riscossa di Neandertal

    Nuove scoperte in Spagna sono destinate a rivoluzionare la narrazione dell'evoluzione umana. Anche perché sino ad ora si pensava che il simbolismo fosse comparso in Africa, come segno caratteristico dell'Homo sapiens, che lo trasferì più tardi in Europa con le sue migrazioni.

    "Nella preistoria è sempre una battaglia contro le vecchie idee", commenta Michel Lorblanchet (Centro nazionale della ricerca scientifica francese, CNRS, professore emerito all'università di Tolosa), che ha partecipato a queste ricerche, ora pubblicate sulla rivista Science. Già nel 2012 l'esperto di arte rupestre aveva sostenuto che le pitture più antiche nelle grotte europee erano state scoperte in Spagna, e avrebbero più di 40.800 anni. Rimaneva aperta però la questione se quest'arte rupestre del Paleozoico sia stata o meno opera di uomini di Neandertal. 

    Un'équipe internazionale (università di Southampton, istituto Max Plank di antropologia evolutiva, CNRS francese ...) ha esplorato, studiato ed eseguito datazioni in tre grotte spagnole: la Cueva de la Pasiega (Cantabria), di Maltravieso (Estramadura) e di Ardales (Malaga).

    1) Cueva de la Pasiega, Cantabria (foto P. Saura)

      

    Questo motivo a forma di scala stilizzata è in realtà un "segno" secondo l'antropologia culturale, un simbolo non riconoscibile dalla sola esperienza, ma il risultato di una convenzione sociale. Le linee rosse verticali risalgono quasi con certezza a 64.000 anni fa.

    2) Cueva Maltravieso - Lo stesso si può dire per questa mano dipinta in negativo (a sinistra in situ, a destra fotografata con tecnica apposita), età minima 66.700 anni.

     

    3) I Neandertal coloravano anche le grotte. Nella Cueva de Ardales (Malaga), le colorazioni in ocra rosso, sono state datate con il metodo uranio-torio: 66.000 anni

      

    4) Infine nella Cueva de Maltravieso (Càceres- Estremadura) (Foto H.Collado), troviamo mani incise e dipinte (66.000 anni)

     

    Più di sessantaseimila anni! La capacità squisitamente umana che unisce simbolismo, intelligenza creativa e linguaggio sarebbe forse nata molto tempo prima di quanto si pensasse?  Eppure gli umani moderni (Homo sapiens sapiens) avrebbero abitato l'Europa solo circa 20.000 anni fa (per alcuni 40.000, provenienti da est), mentre l'Homo erectus avrebbe lasciato l'Africa 1,8 milioni di anni fa. Solo l'Homo sapiens neanderthalensis, ritenuto molto primitivo, abitava l'Europa.  Allora chi può aver realizzato queste opere? Le pitture, rosse o nere, con rappresentazioni di animali, punti, figure geometriche con mani (forse anche posteriori alla datazione) si trovano in tre grotte distanti tra loro settecento chilometri; il che indica un sentire comune, la percezione di un simbolo, la "lettura" condivisa da umani intelligenti.

    Questo significa che, se il sapiens moderno non c'era ancora, l'arte rupestre del Paleolitico è (sarebbe) da attribuirsi ai Neandertal, quell' Homo sapiens neanderthalensis che era l'unico abitante dell'Europa all'epoca (insieme ai Cro-Magnon provenienti però dal lontano oriente). Qualche studioso avanza già un'ipotesi: si tratterebbe di una sola specie di Homo sapiens con flusso genetico attraverso i continenti, tra "cugini", il sapiens antico e quello moderno. Del resto un'altra vecchia idea è crollata: i Neandertal non sono completamente scomparsi, sostituiti da H. sapiens sapiens. Oggi ciascuno di noi ha nel DNA il 2-3% di genoma neandertaliano, ma non tutti hanno la stessa porzione - quindi in totale si calcola che sia presente il 40-50% di DNA di Neandertal nell'umanità moderna.

    Come afferma uno dei principali studiosi di questa ricerca, Dirk Hoffmann (Istituto Max Planck)," La nascita della cultura materiale simbolica ...è uno dei principali pilastri del nostro essere umani", e finora era stata attribuita ai Neandertal in Europa di circa 40.000 - 50.000 anni fa, e solo limitatamente agli ornamenti corporei.

    Ma i primi manufatti simbolici, risalenti a 70.000 anni, sono stati trovati in Africa, e dall'Africa si stavano man mano diffondendo in tutta l'Europa presso i suoi abitanti dell'epoca: i Neandertal. Che non possono più essere considerati brutali e rozzi, incapaci di avere un comportamento simbolico. Invece bisogna riconoscere che sapevano creare immagini con un senso, scegliere i luoghi adatti, pianificare la sorgente di luce nella grotta, mescolare i pigmenti.
    (M.C.G.)

     

  • Arti talismaniche a Milano

    Faccio seguito alla notizia pubblicata in Eventi  il 14 maggio 2021 (Arti talismaniche ... dal nord della Nigeria) a cura di Andrea Brigaglia* e Gigi Pezzoli*). Questa interessante mostra è ora allestita a Milano e resterà aperta fino al 22 gennaio 2022 (corso Buenos Aires 2, domenica e lunedì chiuso, altri giorni ore 10-12 e 15-17 - verificare orari apertura).

    Infatti così scrive Gigi Pezzoli: Cari Amici, diversi di voi ci hanno chiesto di poter vedere a Milano la mostra sulle arti talismaniche del Nord della Nigeria già presentata a Napoli nella scorsa primavera. Ci siamo riusciti. La mostra sarà inaugurata il 27 ottobre 2021, alle ore 18:00, presso la Galleria Lorenzelli Arte di Corso Buenos Aires 2, a Milano. Il titolo é invariato: Nel Nome di Dio Omnipotente - Arti talismaniche, pratiche di scrittura sacra e protettiva dal nord della Nigeria

                       

    Così Lorenzelli Arte continua la sua periodica programmazione di iniziative collaterali allo scopo di approfondire tematiche e ricerche sull’arte contemporanea, nella diffusione e confronto tra culture. Le sale espositive ospitano nel cuore di Milano una ricca serie di 80 opere inedite, appartenenti agli Hausa, un gruppo etnico di oltre 70 milioni di individui, stanziato tra il nord della Nigeria e il sud del Niger.
    Ci si immerge in un mondo di prevalente tradizione sufi, apparentemente lontano, ma che rimanda ad antiche pratiche protettive, divinatorie e taumaturgiche del Medio Oriente, del mondo greco-romano, della Cabala ebraica, fno all’alchimia occidentale medievale.

    La collezione si compone di autentici manoscritti religiosi e poetici, tavole utilizzate per lo studio e la memorizzazione del Corano, diplomi di completamento degli studi religiosi, tavole in legno e metallo per la protezione delle case e delle persone, oggetti simbolici come pelli e formule apotropaiche, esemplari di ricettari popolari sulle scienze esoteriche, talismani e oggetti per la divinazione.

    La ricerca ridimensiona una presunta magia soprannaturale africana, talvolta interpretata in accezione negativa dalla cultura occidentale. Interessante la creazione di un ponte tra magia e religione, intese come pratiche culturali di popoli solo apparentemente distanti, grazie anche al prezioso contributo di molti studiosi internazionali (Anastasia Grib, Constant Hamès, Aliyu Muhammadu Bunza, Elio Revera, Karimu Adejare Amao e Ismaila Abefe Bakare).

    *Andrea Brigaglia: ricercatore a tempo determinato (RTDB) presso il Dipartmento Asia, Africa e Mediterraneo dell’ Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”. Precedentemente, Senior Lecturer presso il Department of Religious Studies, University of Cape Town (Rep. Sudafricana). Nelle sue ricerche antropologiche, pubblicate in numerose riviste internazionali, si è occupato di aspetti storici, politici, letterari ed estetici dell’Islam contemporaneo in Nigeria. Ha curato insieme a Mauro Nobili, il volume TheArts and Crafs and Literacy: Islamic Manuscript Cultures in sub-Saharan Africa (De Gruyter, Berlin 2017).

    *Gigi Pezzoli: Presidente del Centro Studi Archeologia Africana presso il Museo di Storia Naturale di Milano. Membro del Comitato ordinatore del Museo degli Sguardi - Raccolte etnografche di Rimini. Responsabile della missione di ricerca in Togo del Centro Studi Archeologia Africana/Museo di Storia Naturale di Milano e del Ministère de la Culture du Togo/Université de Lomé. Membro del Comitato direttivo del Centro Studi di Storia delle Arti Africane - Università Internazionale dell’Arte di Firenze. Organizzatore di conferenze internazionali sulle culture dell’Africa. Curatore di diverse mostre e autore di pubblicazioni sull’antropologia e sull’arte tradizionale africana, tra cui la prima sulle tavole talismaniche Hausa, Alluna. Mondo e spiritualità Hausa (Centro Studi Archeologia Africana, Milano 2013).

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  • Lo Sciamano del legno antico

    Arte africana? Solo la seconda foto! che ritrae alcune (tra le migliaia) opere d'arte africane raccolte ed esposte da Adolfo Bartolomucci nella sua galleria milanese*. La prima invece è arte alpina, della Val Gardena, dove la scultura lignea fa parte della tradizione secolare, e l'artista è Adolf Vallazza,  scultore di fama mondiale.  Nei due casi: arte o artigianato oppure entrambi? non ha importanza, il risultato è sempre qualcosa che evoca passato e presente, stupisce, emoziona, risveglia tutti i sensi. Protagonista è sempre il legno.

                      

    (foto Lucio Rosa)                                                                                  (foto Mila C.G.)

    L'artista africano sceglie il suo albero in funzione dell'oggetto da scolpire; così statua, maschera, feticcio, totem sarà il veicolo attraverso il quale gli spiriti, le divinità, gli antenati e le forze della natura si rendono presenti e visibili nello spazio umano. Gli oggetti di utilità quotidiana, quali spole per tessere, ciotole, sgabelli, sedie, alzatesta, strumenti per la cucina, sono fabbricati con molta cura. Per ogni settore della cultura esistono una serie di simboli e di stili specifici, compresi dalla comunità. 

    Anche l'artista alpino, "vive del legno, nel legno, parla con il legno...". Per questo il regista Lucio Rosa, bolzanese, gli ha dedicato il film** "Adolf Vallazza, sciamano del legno antico" presentandolo con queste parole: " Il bosco, silente e ordinato, i tronchi ravvicinati e umidi si sono affidati ad Adolf Vallazza. Un viaggio assorto e pieno di attese finisce nei linguaggi e nelle forme dell'uomo contemporaneo. L'artista non interroga la materia - che è già sua - ma il genio dei luoghi che l'ha generata. Con lui tesse il dialogo serrato che porta alle trasformazioni dei legni, programma i loro destini futuri e in loro soffia il suo spirito."

    Lo sciamano viene generalmente considerato come un guaritore e un mediatore tra il mondo conosciuto della realtà ordinaria e il mondo spirituale. L'arte di Adolf Vallazza può essere antropologicamente considerata sciamanica, perchè lavora legni antichissimi, a volte secolari, recuperati nelle case contadine delle sue valli: vengono dalle pareti delle stube, hanno visto la storia, passare tante generazioni e vicende, i vivi e i morti; sono corrosi, consumati, mangiati dalle tarme, con i segni delle scarpe chiodate dei contadini, che hanno camminato su di loro per anni e anni. Anche il colore varia a seconda della loro vita. Ci sono i legni grigi, i bluastri che hanno preso la pioggia, e quelli rossi, che sono bruciati dal sole. E' come un "viaggio" nel passato e in altre tradizioni la scultura in questi legni, che hanno vissuto e trasmettono "messaggi" dai mondi spirituali invisibili alla realtà. E poi ci sono le leggende nei paesi delle montagne, le Dolomiti; "anche se astratte, le  mie sculture, afferma Adolf, rispecchiano queste suggestioni. È il mio ambiente, la mia storia che mi ha dà l’ispirazione per la scultura. " 

    Il Maestro Adolf  Vallazza nasce nel 1924 ad Ortisei. Il padre è scultore in ferro; il nonno materno, Josef Moroder Lusenberg, è un pittore. Adolf fin da piccolo ama le arti e il disegno e  intaglia il legno. Negli anni quaranta e cinquanta inizia lavorare il legno dell'ulivo; per mantenere la famiglia e per passione diventa artigiano, con una ditta e sette operai. Crea statue per le Vie Crucis, crocifissi, sculture religiose della tradizione gardenese. Ma si ritaglia del tempo per studiare e fare ricerche, apre il suo studio di scultore ad Ortisei, e abbandona il legno dell'ulivo perchè lo considera di per sè già "un'opera d'arte della natura". Le prime sculture sono classiche, poi comincia a  sperimentare forme stilizzate e materiali nuovi, fino alle opere che l'hanno reso famoso, i Totem e i Troni. Ha quasi quarant’anni e infine può dedicarsi solo all’arte. Passa all'astratto, ispirato da Marino Marini, Henry Moore, e soprattutto dal grande Constantin Brâncuși, maestro per la sua semplicità, la capacità di ridurre i volumi, l’iconografia delle “colonne”. Sono gli anni '60; inizia ad allestire le sue prime mostre personali in Italia e all'estero. Nel 1968 cominciano a frequentare il suo studio d'artista importanti critici milanesi, come Marussi, Budigna e Mascherpa.

                                          

    (foto Lucio Rosa)                                                                                                      (foto Mila C.G.)

    Di sè racconta: "Sono un uomo che ha vissuto il scorso secolo, un novecentesco. Ho cominciato con la figurazione ... quello deve essere il punto di partenza. Non si può cominciare dall’astratto, l’astrazione si raggiunge in un secondo momento. Ancora oggi, in questi vecchi legni, faccio delle figure. Il figurativo è importante perché insegna il “mestiere”. Molti iniziano con l’astratto, e per me è impossibile, il corpo umano lo devi conoscere, devi entrare in possesso dell’anatomia, conoscere le forme…  Il materiale va capito e sentito."

     *African Art Gallery di Bartolomucci Adolfo - Via Caterina da Forlì, 28 - 20146 Milano Italy.

    **Titolo originale: Adolf Vallazza. Sciamano del Legno Antico Regia: Lucio Rosa  Anno di produzion2019 Tipologia:documentario  Genere: arte/biografico  Paese: Italia  Produzione: Studio Film TV      Formato di ripresa: Full HD 16:9Formato di proiezione: Full HD 16:9, bianco/nero Sito Web: http://www.studiofilmtv.it/film.asp?id=43&l=it  Durata: 40'

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